dal viaggio ‘Napoli e Costiera Amalfitana’
Mentre ci avviciniamo alla Città, la voce dell’accompagnatrice ci mette in guardia dai pericoli ” noi Bellunesi, un po’ sempliciotti, magari neanche pensiamo di poter essere raggirati, perciò… in guardia!”.
Ecco dunque: entriamo in città senza febbre, grazie a Dio, ma con addosso la presenza della maledetta PAURA che nessun termometro digitale, ahimè, è in grado di segnalare!
Secondo giorno: Capri.
Prima benedizione per i viaggiatori: una dolcissima, serena mattinata di fine estate, con sole gradevole e mare calmo.
Primo bagno di folla (inevitabile), dopo mesi e mesi e mesi di lockdown: tutto il mondo pare che si sia dato convegno sull’isola delle sirene e tutti noi presto, grazie alla felice scelta di accogliere la proposta della guida Sebastiano di fare il periplo dell’isola in battello, subiamo lo stesso fascino che dovette ammaliare Ulisse al richiamo incredibilmente seducente di quelle coste selvagge, alte, rocciose, protette, ospitanti soltanto gabbiani e sparute, discrete abitazioni sopraffatte dal verde.
Il mare, profondo, assume trasparenze incantevoli là dove lambisce tranquillo (oggi) gli scogli.
Raccogliamo raccapriccianti dicerie sulle consuetudini dell’imperatore Tiberio la cui villa sorgeva alta, a picco sul mare, ma che noi non visiteremo.
Un bacio scambiato fra gli sposi sotto i faraglioni, secondo la leggenda, assicura la tenacia del legame coniugale negli anni a venire.
Terzo giorno: Amalfi.
Con seconda felice intuizione, per visitare la Costiera Amalfitana, si sceglie di raggiungere Amalfi via terra e poi risalire verso Sorrento per mare, lungo la costa.
Anche oggi, complice la splendida giornata, i colori dominanti sono l’azzurro-turchino del mare, il celeste del cielo, il verde della costa ogni tanto allietata da minuscoli paesi al centro di piccole baie: Vietri sul Mare, Maiori, Minori, Amalfi, Positano.
Certamente non si resta indifferenti davanti alla piacevolezza coloratissima e soprassatura di Positano, arrampicata sulla roccia: ogni angolo è bellissimo, ogni angolo è curatissimo e nelle sue viuzze oggi c’è tutto il mondo che passeggia.
Poi, improvvisamente, davanti all’ingresso di un tabacchino fuori mano, compaiono serie di fotografie di Positano all’inizio del secolo scorso, quando il turismo di massa non si era ancora affacciato: ebbene, in quelle immagini, la povertà dei pescatori raffigurata diventa poesia!
La bella Amalfi fa da grembo discreto alla sua cattedrale: la chiesa gotica, a mezza costa fra il mare e la retrostante collina, attira lo sguardo del marinaio itinerante ancor prima di quello del turista che sbarca attratto da un tempio dalle eleganti fattezze.
Veniamo a sapere che la devozione degli Amalfitani all’Assunta è grande quanto il pericolo che correvano quotidianamente in mare gli uomini, tutti pescatori in passato.
Quando giunge il momento della pausa pranzo, anche oggi, come ieri a Capri, si gusta l’eccellenza della cucina locale e soprattutto dei piatti di pesce.
Quarto e quinto giorno: Napoli.
Letteralmente impossibile scegliere fra le meraviglie artistiche e architettoniche, come se si dovesse scegliere fra le innumerevoli veneri locali intercettate nei viali, nelle piazze e nei vicoli cittadini. Scegliamo allora due bellezze per tutte.
L’ineffabile “Cristo velato” del Sammartino, nella Cappella Sansevero: uno dei rari casi in cui l’arte si può solo contemplare, non descrivere e in cui la bravura dell’artista rimanda misteriosamente alla grandezza dell’impronta divina in lui.
L’altra straordinaria “esperienza culturale” è la visita della Galleria Borbonica che si rivela in pochi minuti per tutti noi visitatori una miniera di informazioni soprattutto relative alle vicissitudini sofferte dalle migliaia di rifugiati che durante la seconda guerra mondiale lì sotto trascorsero anche molti mesi in condizioni igienico sanitarie spaventose: la descrizione di quelle testimonianze, raccolte amorevolmente da uno dei volontari responsabili del restauro dell’ampio sito, non può essere ascoltata senza commozione.
Sesto giorno: Pompei.
Le pietre laviche scure, le strade basolate, le fontanelle pubbliche restituite a noi quasi intatte dagli scavi effettuati a partire dalla metà del ‘700, gli affreschi “parlanti”, gli scorci di interni di domus come ancora freschi di acque e verzure (solo con un piccolo sforzo d’immaginazione), i graffiti sui muri, i segni ancora…caldi di una vita quotidiana improvvisamente interrotta: tutto ci fa gustare l’inspiegabile fascino dell’archeologia tornata lì, sotto i nostri occhi, materia viva e umanissima, anche grazie alla bravura delle guide: Marianna e Sebastiano!
Già: le guide. Certamente il cinquanta per cento del successo del tour è merito loro: cordiali, disponibili, pazienti, competenti, generose, mai irritate, mai… “sorde”, insomma: rispettose del turista!
Affiderei la conclusione di questa frettolosa nota su Napoli (che già troppo tuttavia ha abusato dell’ospitalità di questo bollettino) a uno dei simboli più meravigliosi della Città: il presepio di Cuciniello nel Museo di San Martino sull’incantevole collina del Vomero: potremmo definirlo una Napoli in miniatura, per nulla datato, sebbene sia un capolavoro del ‘700.
“Non si può lasciare Napoli senza essersi almeno un poco innamorati di lei” commenta, alla partenza, quella stessa persona che, arrivando, ci aveva messo in guardia dai suoi pericoli, ricordate? E sapete perché?
Perché, come canta Pino Daniele,
Napule è (testo della canzone)
Pino Daniele, cantautore napoletano 1955-2015
Gino Ciociano Bottaretto