Marocco Imperiale

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Già l’arrivo a Casablanca è stato particolare: siamo usciti dall’aeroporto e guardavamo per individuare qualcuno con una cartello CTG e dopo qualche istante arriva un tipo alto e scuro di pelle, con tunica fino a terra ed un turbante in testa, parlante un italiano quasi perfetto: era lui! Mohamed, la nostra guida che nei giorni successivi ci ha piacevolmente intrattenuti senza mai stancarsi.

Casablanca con i suoi cinque milioni di abitanti, organizzata in sei prefetture, con un traffico veicolare notevole, ci ha lasciato il ricordo del palazzo reale e della grande e bellissima moschea Hassan II°, la terza più grande al mondo dopo La Mecca e Medina, e collocata magistralmente sul mare. Dopo la visita al mercato centrale ed un passaggio a la Corniche, via verso la capitale.
Rabat, pur essendo un’altra grandissima città, risulta essere molto bella sia nella parte monumentale storica, con le sue poderose mura, sia nella parte nuova occidentale, costruita dai Francesi all’inizio del secolo scorso, durante il protettorato durato fino al 1956. Anche qui un palazzo reale (ce n’è uno per ogni grande città) e tanti monumenti dove il nostro Mohamed ci ha condotti.
Il paesaggio attorno si presenta a noi  piuttosto costante nel colore rossastro, ferroso, interrotto da una flora rigogliosa nelle pianure dove c’è la presenza di acqua nel sottosuolo, ed intervallato da colline coltivate ad alberi da frutta, olivi, ma anche viti e querce da sughero.
Sempre all’orizzonte la corona di montagne del Medio Atlante che separa dall’immenso deserto del Sahara: dice la nostra impareggiabile guida Mohammed, che di giorno la temperatura nel deserto supera i 50 gradi e la notte scende fino a zero.
Ai lati della strada estese piantagioni di sughereti vengono progressivamente sostituite con eucalipti, per ottenerne la cellulosa ed inoltre grandissime estensioni di oliveti di razionale giovane impianto, il cui colore verde e argento contrasta piacevolmente la tinta calda dei terreni.
Arriviamo alla bellissima città di Meknes, dotata di più cinte murarie che originariamente erano estese per 40 km, sviluppate su e giù per le colline rossastre bruciate dal sole. Gli enormi granai reali costruiti all’inizio del 18° secolo con i resti delle scuderie, predisposte per ospitare fino a 12.000 cavalli, nonché un lago artificiale di 4 ettari utilizzato per innaffiare i giardini della città ci hanno fatto immaginare l’originaria sontuosità.
E che si trattasse di un’area geografica importante viene testimoniato anche dai magnifici resti della città romana di Volubilis, capitale allora di una delle due provincie del Nord Africa, situata  a pochi km di distanza, distrutta da un terremoto del 1775.
Con la sua eclettica cultura, durante i trasferimenti in pullman, Mohamed, ci ha raccontato un sacco di cose, spaziando dalla storia alla geografia, dalla botanica alla zoologia. Ha spiegato la riproduzione dei cammelli (pardon: dromedari)  e poi anche il segreto della tinta degli intonaci che noi chiameremmo “a marmorino”, laggiù preparati con calce, polvere di marmo, rosso d’uovo per dare il colore giallo ed albume come legante, infatti ci ha detto scherzando che per realizzare la grande moschea di Hassan II° i marocchini sono stati 5 anni senza uova.
Una caratteristica interessante è stata quella di notare, addossati alle vecchie mura delle città, digradanti sulla collina e fitti di lapidi, i cimiteri. Loro li chiamano “il giardino dei silenziosi”. Ci ha detto la guida che i defunti vengono interrati avvolti in un lenzuolo, posti di fianco con il volto rivolto ad Est, verso la Mecca, La città santa, in attesa del loro risveglio un giorno, e non vengono più riesumati, per cui vi sono tombe millenarie.
La città imperiale di Fez è anche la città santa del Marocco, sembra essere stata fondata da un discendente diretto di Maometto ed è stata la prima città imperiale nel 13° secolo. Si dice che la sua Università sia stata la terza al mondo, dopo quella di Damasco e di Bagdad.  Oltre alla visita quotidiana alle moschee, a noi è piaciuto molto passare attraverso i suq , visitare una conceria ed una fabbrica artigianale di ceramiche. 

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Le cicogne hanno sempre accompagnato il nostro viaggio, nel senso che i loro nidi erano presenti ovunque ci fosse stata la possibilità di costruirli: nella parte sommitale dei pilastri delle antiche porte di accesso alle città, sui tralicci e sulle colonne sui pali della luce, sulle antenne paraboliche.
Abbiamo visto un traliccio con ripetitori che aveva una installazione di una ventina di nidi, in pratica un condominio. Ed inoltre c’è una cosa che ci ha lasciati sbalorditi, poiché, essendo essi  costruiti un po’ grossolanamente, dentro al groviglio dei rami, gli uccellini di piccola dimensione si costruiscono, a loro volta, il loro nido, sfruttando le “infrastrutture” già predisposte; poi ci ha detto Mohammed che le cicogne emigrano, ma poi ritornano sempre allo stesso nido e non cambiano mai il loro  compagno o compagna.  
Ed alla fine siamo arrivati alla bellissima città di Marrakech dove il fascino della estesa e vivace città antica si contrappone alla spettacolarità della parte occidentale, anche questa costruita dai Francesi nel secolo scorso. Il lungo e verde viale che attraversa questo settore è stato abilmente conservato intatto, mantenendo i due sensi di circolazione separati da un grande giardino pubblico,  e piantumato con altissime palme ed altra vegetazione esotica.
Il cuore pulsante della città vecchia è rappresentato dalla vasta piazza  Jema el-fna, fin dal mattino ricca di una miriade di colori sulle bancarelle ma che nel tardo pomeriggio e verso l’imbrunire si trasforma magicamente, dando vita a decine di teatri all’aperto, con giocolieri, incantatori di serpenti, musicanti, cori, e vi si riversa tutto il mondo.
Di giorno, da bravi turisti, abbiamo visitato tombe, palazzi, museo, giardini, ma verso sera il richiamo magico della piazza ci ha attirati là, ad immergerci nella moltitudine di persone, tra gli  schiamazzi, il richiamo dei venditori, il rullare ritmico delle percussioni tradizionali provenienti da ogni angolo e che non sembrano mai smettere.
E così abbiamo fatto anche al ritorno dalla gita alla valle di Ourika, l’ultimo giorno, per cercare di immagazzinare negli occhi la magia e le sensazioni della sera, della gente, della compagnia prima di partire per il rientro “al paesello natio”.  

Arnaldo Grigolato

altre foto del viaggio

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