tra le acque del Mekong e i siti di Angkor
Come una scolaresca. Il gruppo dei 16 citigini, tenuti sotto controllo da Loris, in Laos e Cambogia hanno dato l’idea che il tempo per loro non fosse trascorso. Come giovinetti, infatti, erano presi da emozioni che mutavano giorno dopo giorno: curiosi, meravigliati e affascinati dalle bellezze della natura e dei templi. Siti indimenticabili e luoghi che, come il maestoso Mekong, richiamavano ricordi di gioventù, terribili e anche mitici di una guerra lontana lungo quel fiume di cui allora capivamo ben poco.
E francamente poco abbiamo capito anche oggi di quei conflitti intrecciati ancora in corso: Laos contro Cambogia, Cambogia contro Vietnam, Laos e Cambogia contro Thailandia. Tutti contro tutti. Uniti solo nella critica verso la Cina, dalla quale in buona parte dipendono economicamente. Abbiamo osservato situazioni per noi impossibili, come in Cambogia dove siamo passati rasenti a nidi di mitragliatrici o su percorsi vicinissimi ad aree seminate da mine. E lì tanti, tanti militari malissimo alloggiati e probabilmente poco pagati, ma pronti ad ogni evenienza. Oppure come la brava guida cambogiana Kim ci ha raccontato di vite difficili, di poche abitazioni con energia elettrica che viene sospesa a mezzanotte e delle tante casupole senz’acqua corrente.
E noi in marcia sempre. Da mattina a sera. Abbiamo camminato lungo le rive, ai bordi di cascate, tra le piantagioni di caffè e in fitti boschi; abbiamo navigato sul grande fiume in canoa e in barcone; abbiamo partecipato prima dell’alba alla questua dei monaci; abbiamo percorso chilometri avanti e indietro nel mercato serale di Luan Probang. Il tutto sottolineato dalle annotazioni puntuali di Tiziana, monitorato dai “contapassi” dei vari smatphone e registrato dal “contaciacole”, il nuovo strumento inventato giocoforza da Loris. È vero, il chiacchiericcio è stato costante nonostante la cappa di caldo e la mascherina in faccia. Che controsenso: noi nel Sud Est asiatico sempre con la protezione davanti a bocca e naso per timore del coronavirus, che lì non c’era, per poi tornare in patria dove già scoppiava l’epidemia.
Nonostante i piedi gonfi e il sudore colante, quei 13 giorni insieme li abbiamo vissuti in amicizia, con brio e… in leggerezza (dato che quel filo di fame c’era sempre), sottolineati dalle avventure delle più discole del gruppo: Anna e Daniela. Fin dall’inizio queste due rispettabili signore (a Belun) hanno lasciato in giro (persino su un aereo) borse e sacche, per fortuna subito recuperate. Ma questo è niente se pensiamo al tonfo sulle pietre e alla testa sanguinante di Anna caduta tra i resti del tempio di Ta Prohm nel sito di Angkor Wat. Tanta paura e, per fortuna, poco male: un po’ di intontimento, la ferita presto rimarginata e un grosso bernoccolo da portare a casa. A nulla le era valsa la “benedizione” della shamana impartita un paio di giorni prima anche a me e a Mariateresa. Per non farci mancare niente, sempre lì nei pressi, nel folto della foresta di Beng Mealea, Michela si è persa. Ma, intrepida, s’è fatta portare in motoretta nel luogo dell’appuntamento. Mentre Luigina è stata in lotta perenne con i kip (la moneta del Laos), per mitigare la tenzone con i dollari in Cambogia.
Non sono mancati nemmeno i vari gruppi: quello del “fumo” formato da Ivette e Vito; l’équipe sanitaria di Enrichetta e Tiziana; la coalizione dei maschi – persino tre! – con Elio, Giuseppe e Vito (fatta eccezione per il super partes Loris). A completare il gruppone delle “Donne avventura”, oltre le viaggiatrici già citate, c’erano la gioiosa Laura, le simpatiche Costanza ed Elena e l’attenta Annalisa.
Insomma, una gran bella e affiatata comitiva in un viaggio indimenticabile.
Maria Zampieri