Frammenti di ricordi del viaggio dal 23 al 27 febbraio 2017 in terra scandinava
Sono partito a malavoglia, fiaccato da una brutta influenza, con timore di essere di intralcio ai nuovi, sconosciuti compagni, ma la presenza di mia moglie mi ha indotto ad accettare il rischio (mi rendo sempre più conto di quanto sono fortunato da ben 47 anni!). Poi, oltre il Circolo Polare, l’aria glaciale delle bufere artiche ha evidentemente depurato e rinvigorito il mio fisico.
Mi trovo subito a mio agio con il gruppo del CTG: si va d’accordo. Annalisa è davvero una persona speciale, indispensabile per l’armonia e per ogni esigenza del gruppo.
Si inizia bene. Alle 23, all’arrivo all’aeroporto di EVENES, c’è una bufera di neve che dura l’intero viaggio fino ad Harstad, ove si giunge in albergo verso mezzanotte. Al mattino, tutto è bianco sotto una coltre di oltre 30 cm di neve. La colazione nordica fornisce la necessaria energia per tutta la giornata che risulta splendida: un continuo alternarsi di bufere di neve, momenti di stasi, qualche apertura del cielo, luci all’orizzonte, poi di nuovo neve portata dal vento: i fiocchi hanno spesso la forma di granuli tondeggianti, modellati dalle tormente di alta quota. La temperatura oscilla tra -5 e -10 C°.
Le strade sono bianche, su neve dura, gelata, pulita (qui, fortunatamente, non usano il sale, ma solo gomme da neve, chiodate!)
Nonostante le molte fotografie, il paesaggio non può essere che parzialmente descritto. Più che dell’immagine ho il ricordo delle sensazioni, difficilmente descrivibili. Una continua scoperta di pareti rocciose nerastre a picco sul mare talora gelato dei fiordi, ripiani glaciali con enormi massi erratici e di frana, casette rivestite da perline di legno colorato, rosse, gialle, grigie, multicolori, a dimensione familiare, chiese variopinte che ricordano un’antica religiosità. Distribuzione territoriale armoniosa dei paesi e dei gruppi di abitazioni sparse che supera la fantasia di qualsiasi architetto, porticcioli cinti dalle ”rorbu”, case rosse dei pescatori fondate su palafitte. Paesaggio da impressionisti!
La morfologia glaciale a luoghi è dolcemente ondulata, multiforme, rassicurante, a luoghi è quasi minacciosa, aspra ed imponente come quella di certe nostre valli alpine e dolomitiche. Sono ben leggibili almeno tre fasi glaciali recenti.
Le pareti rocciose di ortogneiss granitico nerastro, vecchio di qualche miliardo di anni, incutono rispetto e ammirazione come per un patriarca biblico (quando si formarono non c’era neanche la minima traccia della nostra Europa). La continua variabilità della moltitudine di cuspidi profondamente incise da precipiti voragini mi trasmette un gran desiderio di salire a piedi, esplorare, magari di bivaccare una notte con sacco a pelo e martello, in qualche anfratto, come avrei fatto un tempo! Vedo itinerari che vorrei e potrei percorrere: il mondo si vede meglio se si percorre a piedi! (Ma non è detto che non ci possa essere un ritorno, magari in una futura estate, con 24 ore di luce al giorno).
Quando veniamo inghiottiti dall’enorme bocca del traghetto, mi sento come un novello Giona nel ventre della balena. Presto siamo rigurgitati sulla sponda opposta che ci riserva nuove emozioni. Una nuova bufera di neve, poi i colori vivaci delle casette con deliziose verande, poggioli, finestre ornate di merletti, sempre illuminate da lampade accese, come a dire: qui c’è vita! Giovani e vecchi si muovono agili, a spinta, sulle strade innevate con speciali e leggere slitte. Sono colpito dalla inconsueta e coinvolgente variabilità del clima, dall’asprezza e dolcezza del paesaggio, dall’armonia delle abitazioni!
A Langøya, al parco delle renne (che sembrano godersi un tiepido riposo in una neve gelida) una multicolore signora Sami, INGA, con robusti fianchi ben difesi da un temibile pugnale, si muove e si agita continuamente, rendendo arduo ogni mio tentativo di ripresa fotografica.
Poi Melbu, Fiskebøl e tappa a Svolvaer. Dalla parete tutta a vetri della stanza d’albergo, al 6° piano, a notte inoltrata godo il panorama ovattato della piazza e del porto: un alternarsi di turbinii di neve amplificati dal chiarore di luci sparse: la chiesa sullo sfondo, un’auto imprime una profonda traccia circolare sullo spesso strato bianco. Lontano, al piede della montagna, puntini luminosi segnalano rassicuranti presenze tra fiocchi capricciosi.
Al mattino, dopo una fenomenale colazione a base di tutto e molto di più di quanto si possa immaginare (roba da Vichinghi!), ci spostiamo tra un alternarsi di bufere di neve e momenti di calma e luce, in un paesaggio articolato e vario che coinvolge. Una breve sosta alla chiesa di Kabelvag. Il vicino semplice cimitero infonde serenità e pace e cozza contro il monumentalismo ipocrita dei camposanti domestici. Anche i frequenti ponti di collegamento tra un’isola e l’altra mi paiono leggeri, raccordati armonicamente con la natura. Si arriva ad Henningsvaer con una vera e propria tormenta polare. Visitiamo un’interessante mostra di pittura. Di un bel filmato sul duro lavoro della pesca al merluzzo mi resta impressa l’immagine delle robuste mani di un vecchio pescatore. Mi ricordano le povere callose mani di mia madre, contadina saggia e quelle dure e logorate dalla pietra di mio padre, muratore instancabile.
Torna il sereno ed il paesaggio è semplicemente spettacolare: isole, scogli, insenature, pareti rocciose verticali, incombenti sul mare dei fiordi, deliziose casette variopinte. Ci spostiamo a Borg, ove visitiamo un’imponente casa-museo vichinga, sede di un’interessante mostra di storia, arti e cultura.
Alla sera permane il sereno ed a notte fonda ci spostiamo circa 50 Km oltre Svolvaer, ove l’orizzonte privo di ostacoli, aperto sul mare, ci permette di osservare per un lungo tempo una verde aurora boreale. Uno spettacolo difficile da descrivere. Non trovo le parole. Per questo, credo sia necessario leggere la delicata e poetica descrizione fatta dalla signora Nidia che ha magistralmente illustrato il fenomeno con l’abilità di un pittore.
Il terzo giorno è limpido. La luce del paesaggio innevato è accecante. Ci spostiamo per strade tortuose, a picco sul mare fino ad “Å”, villaggio di pescatori, ove ci attendono le rastrelliere per l’essicazione dello stoccafisso, per l’occasione occupate dalle teste dei merluzzi esposte quale cibo per gabbiani voraci. Questo è uno dei più bei villaggi delle Lofoten: una variabilità unica di paesaggi! Interessante la descrizione dell’estrazione dell’olio di fegato di merluzzo fatta in un museo da una simpatica giovane vichinga! Meritevole di attenzione il museo dei pescatori, con immagini impressionanti ed attrezzi per noi inconsueti ed unici.
Poi, nell’attesa del traghetto a Moskenes, riesco a sbirciare all’interno di un moderno impianto di trattamento del baccalà, ove nel caratteristico odore del pesce, operatori indaffarati maneggiano abilmente enormi contenitori sanguinanti delle varie parti appena separate.
Nel pomeriggio e ci imbarchiamo sul traghetto per Bodø, sulla terraferma scandinava, ove ci ospita l’albergo per l’ultima notte. Il viaggio ci regala ancora una splendida immagine del tramonto durante la traversata sul mare calmo.
Domani si torna a casa. Con la magia del paesaggio fiabesco delle Lofoten negli occhi, la gelida e pungente brezza della neve portata dal vento sulla pelle, il colore delle case dei pescatori nel profondo dell’anima, il ricordo di tanti compagni di viaggio nel cuore.
Il viaggio alle Lofoten è stato una cura per corpo e per lo spirito, un’iniezione di energia vitale, una finestra aperta per tre giorni su un mondo che non conoscevo. Mi ha confermato che il piacere di viaggiare, vedere, guardare, scoprire, osservare, esaminare e, possibilmente, contemplare, ti porta verso l’infinito. Fino a quando c’è curiosità c’è vita.
La rigenerazione avuta conferma che non è l’uomo che fa il viaggio, ma il viaggio fa l’uomo.
Grazie CTG, grazie Annalisa, grazie a Voi tanti compagni di viaggio!
Al prossimo!
Vittorio Fenti