Emozioni

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È la parola che mi viene spontanea ripensando a ciò che ho provato il giorno 17 gennaio alla Mostra “Storia dell’impressionismo” a Treviso. Trovarmi vis a vis con i dipinti dei grandi artisti dell’Ottocento è stato un susseguirsi di sentimenti, dall’ammirazione allo stupore, dalla riconoscenza alla soddisfazione, fino al fiotto al cuore ed alla commozione di fronte a Van Gogh con i suoi “Cipressi”.

La bravissima guida ci ha portato non solo a conoscere e guardare quei quadri, ma ad osservarli e a “penetrarli” per recepire lo stato d’animo degli artisti ed i loro “messaggi”. Davanti ai  “Cipressi” mi ha preso proprio un nodo alla gola quando ho visto e capito l’ansia di Vincent nel trasmetterci il bisogno che aveva di esprimere il suo disagio e la sua sofferenza: quei colori messi sulla tela direttamente dai tubetti per poi allungarli con le dita con gesti convulsi e tormentati. Ecco, sapere che lì su quel dipinto c’erano letteralmente le mani dell’artista, mi ha toccato nel profondo ed avrei voluto dirgli: “scusa se non ti abbiamo capito in tempo, lasciandoti nella disperazione”. Poi il mio sguardo è passato ai “Covoni sotto il sorgere della luna” e ho capito ancora il suo estremo bisogno di provare un po’ di serenità. Avrei voluto soffermarmi di più, ma si doveva proseguire la visita e la vista dei dipinti di Monet, con le sue impalpabili ninfee, mi ha disteso un po’ l’animo, percependo altre emozioni, sicuramente più dolci, lenitive e poetiche.
L’invenzione, in quel secolo, della fotografia aveva permesso agli artisti di sganciarsi dall’accademismo e dalla necessità di rappresentare in modo perfetto la realtà. Si sono sentiti liberi di esprimersi per trasmettere appunto “sensazioni”, spaziando da un ampio paesaggio ad un piccolo particolare, regalandoci veri capolavori. Permettetemi di dire che sentimenti così non riesco a provarli per l’arte contemporanea, quella visibile alla Biennale di Venezia per intenderci; quella non è  “arte”, io la definisco “creatività”. Quando penso alle “famose” tele tagliate o bucate da Fontana, mi sovviene il commento che ne fece Emilio Vedova in un’intervista, egli si espresse così da buon veneziano: “A Venezia ghe xe un detto che “tutti i busi fa stronsi” qua ghe xe un stronso che fa busi”!…
Nel pomeriggio siamo stati a visitare la palladiana Villa Emo e anche lì mi si è aperto il cuore nell’ammirare la capacità del famoso architetto di coniugare la bellezza classica con il senso pratico per l’utilizzo di quella villa padronale. Già nel Cinquecento egli fu un “moderno”.
Ancora una volta il C.T.G. ci ha permesso di conoscere gioielli della nostra terra veneta e mi auguro che la ricerca e la scoperta continuino.
Grazie.

Carla Sarto

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