Cahier de voyage

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Dieci giorni di novembre in IRAN

Prima di partire mi sono successe tre cose. La segretaria dell’Associazione che ha organizzato il viaggio di gruppo mi ha telefonato per conoscere il nome di mio padre. “È morto da vent’anni”, ho risposto. Ma senza non sarei potuta partire per l’Iran. Sono dovuta andare a depositare le impronte digitali e il passaporto. Mi sono trovata di fronte a due scuole di pensiero degli amici. La prima diceva: ”L’Iran? E perché mai? È troppo pericoloso”. La seconda: “Che bello e alternativo! Ti invidio”. A volte, basta poco per sapere con chi abbiamo a che fare. Sono andata per motivi culturali, storici, artistici, spirituali, fisici. Viaggio come pellegrinaggio di conoscenza, come modo di capire meglio se stessi e gli altri.

L’Iran è fra Occidente e Oriente, fra passato e presente, fra antico e moderno. È un paese vasto cinque volte l’Italia, con paesaggi svariati, dalla montagna al deserto, dalle palme agli olivi e viti ai cespuglietti spinosi, alla sabbia. Paese di grandi distanze, con duemila siti archeologici. Ci sono molte differenze fra città e villaggi di campagna. Per dire tutto ciò che ho sentito dalla nostra guida, dovrei scrivere un libro intero, e non mi sembra il caso!

Abbiamo tutti dei pregiudizi, e preferisco saperlo, per poi poter lottare contro di essi. Non è vero che le Donne iraniane non possono truccarsi, tingersi i capelli, mettere lo smalto. Ma è vero che devono tenere sempre in testa il “velo”, da cui si intravedono i capelli, che mortifica. Così come le turiste, anche al ristorante. E dato che qui il riscaldamento è sempre al massimo, nell’aeroporto, nelle camere d’hotel, nei ristoranti, (sarà perché hanno il petrolio?), a me il “foulard”, come lo chiamo io, dava un grande fastidio. I miei capelli ribelli non sopportano alcuna restrizione ed avevo un gran caldo. Gli abiti devono coprire collo, braccia, gambe e non devono vedersi le forme del corpo. Insomma, coprire capo e culo! Mi viene in mente un aggettivo sintetico di un’amica staffetta partigiana sugli uomini: “prepotenti”. Qui le Donne sono più occidentalizzate e hanno maggiori libertà in confronto ai paesi dell’Islam. Le ho viste guidare, ma poche. Non ho notato le parrucchiere, perché sono nascoste nelle case, ma le locali sanno dove trovarle. Lavorano fuori casa, fanno carriera e hanno rappresentanti in Parlamento. Possono esercitare qualsiasi mestiere, ad eccezione di quello di giudice. Le studentesse universitarie sono il sessantacinque per cento. Hanno tutti i diritti, anche di voto, ad eccezione di quello di diventare Capo Supremo, anche se fanno parte di minoranze religiose. Le generazioni dai cinquanta ai settant’anni sono in frattura con le giovani, perché hanno vissuto sotto lo Scià, quando c’era ricchezza economica.

Ragazze iraniane

Ragazze iraniane

Non è vero che non viene usata la carta igienica (anche se a volte non c’è), perché la tradizione islamica vuole che ci si lavi. Infatti, ogni gabinetto, che di solito è alla turca è munito di rubinetto d’acqua. Ho visto a volte insieme nello stesso stanzino tazza e gabinetto alla turca.

Non è vero che sono tutti talebani fanatici. Il pubblico e il privato sono diversi. Non è vero che sono tutti terroristi con barba e baffi neri. L’ospitalità è una caratteristica. Solo il cinque per cento brucia le bandiere americane, come vediamo nei mass-media. Non è vero che c’è da avere paura: mentre giravo avevo una sensazione di grande sicurezza, al contrario che in Italia. Non c’è la microcriminalità.

Non è vero che sono arretrati nelle tecnologie. Di sicuro fanno selfie molto, molto più di noi!

Non è vero che non si possono mangiare insalate e verdure perché l’acqua è inquinata: ne ho mangiate a iosa e sono stata bene!

La differenza di orario fra noi e l’Iran è di due ore e mezzo. Esempio: se in Italia sono le 15, a Teheran sono le 17,30. Intorno alle 17 è quasi buio. La moneta è il rial, ma facilmente vengono accettati gli euro; un euro corrisponde a circa cinquantamila rial. La lingua ufficiale è il farsi, scritto con caratteri arabi. Si scrive da destra a sinistra. L’inglese è diffuso. È un paese ricco di petrolio e di tutto, ma la situazione è peggiorata con la Rivoluzione Islamica del 1979 di Khomeini. Oggi il popolo soffre ma dignitosamente non lo fa vedere.

Che bello il tramonto che ho osservato dall’aereo da Roma a Teheran! A strisce orizzontali rosse, nere, cinestrine, rosa, celesti, nere. Le mie vicine di posto, madre e figlia, sono state le prime iraniane che ho visto: truccate vistosamente, ossigenate, col velo sulle gambe, prima di indossarlo alla discesa, gentili, sorridenti, accoglienti, come tutte quelle che incontrerò in seguito. Le iraniane hanno enormi occhi belli e molto bistrati. Forse lo fanno per valorizzare l’unica parte del corpo che possono fare vedere. Da tempo non notavo in giro tanti rossetti rosso squillante, che adoro.

Nell’attesa dei bagagli è stato il primo choccante colpo d’occhio su tante donne tutte vestite di nero da capo a piedi. In Iran è una specie di perenne mostra di foulard di ogni tipo: leggeri, pesanti, di lana, di cotone, a righe, a quadri, con fiori, di colori tenui o vivaci… Quali segreti nascondono le Donne locali sotto l’abito? Che cosa pensano veramente? Quando ci scivolava il foulard, non essendoci abituate, c’era quasi sempre un uomo a farci cenno di tirarlo su… Ho tentato di parlare con qualche iraniana, con fatica, per via della lingua. Ci sono quelle che sono contente di portare il chador perché sono religiose integraliste convinte. O sono cresciute così fin da piccole, hanno visto la mamma, ne va della loro identità. Ci sono quelle che assumono un’espressione incerta e non felice, ma non possono parlare. Se si ribellano, le famiglie le abbandonano e non trovano marito… È molto, molto raro vedere girare una donna da sola di sera. Ho visto una scolaresca con le bambine meravigliose dal velo bianco e la maestra tutta nera. Non esiste più il matrimonio “combinato” come un tempo, tranne che nei villaggi tradizionali e non è accettata la poligamia. Esiste il divorzio. Il matrimonio “temporaneo” non è altro che una “prostituzione islamica”.

La capitale Teheran ha circa dodici milioni di abitanti ed un traffico terribile, con relativo inquinamento. Molti girano con le mascherine. Il pericolo maggiore è nell’attraversamento delle strade. Ci si butta dentro e come va va… Non usano il casco, non rispettano il rosso, i passaggi pedonali sono rari, i motorini con tettuccio passano sui marciapiedi a velocità sostenuta… Ci sono tanti taxi gialli e verdi e “collettivi”. Le auto sono vecchie e scassate, da noi non supererebbero la revisione, però costano il doppio. Non c’è il “centro storico” come lo intendiamo noi. Abbiamo visitato il Museo archeologico, il Museo del vetro, ospitato in un bel palazzo in stile Gujarat, il Museo dei gioielli. In quest’ultimo mi ha colpito un mappamondo fatto di pietre preziose che disegnano mari e continenti, più corone, scettri, specchi, ombrelli, casacche con incastonati i gioielli più incredibili. Il giardino naturalistico è ornato di specchi, vetrate e cristalli come nelle fiabe, con un gusto sovraccarico che doveva mostrare la ricchezza del sovrano di Persia. Nelle sale enormi lampadari di vetro a goccia.

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