Azerbaijan e Georgia

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le rassomiglianze di due Paesi diversi

Una rampa troppo lunga e troppo erta, percorsa a piedi, sotto il sole, con la lingua a penzoloni e le valigie al traino. Così, stremati, siamo passati dall’Azerbaijan alla Georgia.


Due Stati, ognuno bello alla sua maniera, accomunati da un recente passato e oggi profondamente diversi. Però li unisce, se così si può dire, il dio dei nostri giorni: l’oro nero. Da una parte, l’Azerbaijan, dove il petrolio c’è e c’è pure il gas, che creano ricchezza (per pochi abbiamo scoperto). Dall’altra, la Georgia, dove c’è solo il passaggio degli oleodotti e dei gasdotti, che portano anch’essi un certo benessere, unito a un’agricoltura che sembra abbastanza fiorente con viti e nocciòli. Che fa da contraltare alle desertiche estese azere fitte di pozzi e impianti estrattivi.

L’Azerbaijan ti avvince per le architetture avveniristiche della capitale, per il suo mar Caspio e i suoi fuochi (pochi e scarsi, in verità) che escono dal suolo. La Georgia ti affascina per i monasteri e le città rupestri, per le cattedrali istoriate e per il grande Caucaso con i suoi colori che cambiano ad ogni curva della lunga strada per la Russia.
Questi due Paesi mi sono piaciuti, al di là del fatto che ognuno di loro ha mostrato la faccia che ha voluto far vedere: Baku opulenta, organizzata, sfavillante di luci e colori, di religione islamica ma con le donne in jeans e senza velo; Tbilisi rigorosamente e severamente cristiano-ortodossa, abbastanza innovativa e forte di una bellezza storica. Ma per entrambe ho colto un denominatore comune: periferie e villaggi a basso tenore i vita. A Baku addirittura le abitazioni più povere sono nascoste alla vista degli stranieri da chilometri di muro. Anche riguardo la libertà non c’è molta differenza tra questi due popoli. In Azerbaijan è palese un clima di polizia: guai a contrastare il sistema “repubblicano” a regime familiare. In Georgia i cittadini sono più liberi e hanno fiducia nella classe dirigente, ma sono ancora oppressi dalla mano forte della Russia che vuole riprendersi fette di territorio e non riescono a sopire l’odio verso altri popoli che non sia il loro. Gli Armeni, ad esempio. Lì si sente pronunciare spesso la parola guerra.

In tutto questo noi 21 del Ctg ci siamo trovati bene, guidati dal giovane e bravo tour leader Alberto De Nart, sempre disponibile, attento, discreto, preparato e sorridente.
Infine loro, le nostre guide locali: l’azero Orcan, fin troppo sintetico ma simpatico, che non ha fatto mistero dell’opprimente regime politico del suo Paese; il georgiano e triste Alex, preparato e colto nelle spiegazioni dei siti e orgoglioso del suo Paese, però piuttosto vago nel trasmettere le informazioni di carattere generale da noi richieste.

Maria Zampieri

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