Non vorrei dilungarmi a descrivere le bellezze di questa “chicca” di isola che è Capraia, rigurgitata dal mare blu nove milioni di anni fa e poi nuovamente ricompattata con un altro fenomeno eruttivo cinque milioni di anni dopo, con le sue scogliere variopinte a picco e la sua natura solitaria ma familiare.
Vorrei concentrarmi invece su alcuni aspetti che l’andirivieni lungo i suoi sentieri ed i salti sugli innumerevoli sassi mi hanno suscitato.
Il primo è senz’altro l’essenzialità. Al giorno d’oggi non si sa bene a cosa corrisponda. Ognuno potrebbe darne la propria versione perché quello che abbiamo è comunque sempre superiore alle nostre necessità, ma coloro che qui lungo gli anni hanno vissuto penso l’abbiano messa in pratica.
Già i pochi alberi che ci accolgono dopo tre ore di navigazione stagliandosi come vedette contro il cielo sul profilo ondulato delle cime, ne sono un primo accenno. Le loro chiome di pini domestici proteggevano dalla calura estiva i detenuti che qui scontavano gli ultimi anni della loro condanna mentre costruivano i numerosi terrazzamenti per le coltivazioni, oggi ricoperti di fitta vegetazione mediterranea. Per loro era essenziale un po’ d’ombra, l’acqua raccolta dal cielo, la dimora nelle costruzioni isolate all’interno, le torrette situate in punti strategici per gettare uno sguardo di speranza sul mare e magari uno scambio di prodotti e qualche parola affabile con gli abitanti che lì vivevano in libertà. Due situazioni contrapposte nella stessa realtà perché se per gli isolani l’essenziale diventava pescare, mangiare, sopravvivere, per gli “ospiti” l’essenziale era l’agognata libertà. E se tocchiamo l’animo umano l’essenziale non ha confini neanche per un’isola: c’è chi insegue una pennellata sulla tela, come il pittore della torre del porto, chi magari una lavatrice, un pannello solare o una piscina per attivare il progresso, chi un angolo riparato dove poter proteggere con amore un tenero giglio.
E qui si innesta un aspetto che si anima proprio lì dove vengono meno tante cose materiali: la particolarità. C’era passione negli occhi della signora dell’erboristeria, c’era respiro di attenzione, di cura, di studio in tutte le boccette, le etichette, i sacchetti di piante aromatiche. C’era il bisogno di attingere alla bontà della natura, al dono della linfa del lentisco o alle proprietà del mirto, al profumo della lavanda e della rosa, all’aroma dell’origano, dell’elicriso e del peperoncino, ai benefici ed alla soddisfazione che può dare preparare una ricetta con le proprie mani, un liquore, dosando gli ingredienti, sperimentando le idee, osando aggiungere un nuovo fattore così che magari il risultato cambi.
È la magia di chi procede usando non gli occhiali da sole ma una lente d’ingrandimento e sta attento a posare i piedi per non calpestare l’ipocisto, così piccolo e nascosto, la chiocciola che solo qui vive, le splendide uova della popolazione di gabbiani che ormai presidia con i propri voli e le proprie grida ogni angolo di pendio dimostrandosi la più bella ed armoniosa vedetta di un’isola di pace.
E dove c’è l’attenzione al piccolo si gusta di più e non solo con la papille, così che la colazione del mattino diventa l’apertura all’accoglienza del giorno che si anima, le infinite sfumature e profondità del mare curano le incrinature dei disagi, le grida delle berte un messaggio per conoscere l’ignoto, la durezza e cromaticità delle pietre un pezzo di sudore e di storia da scoprire ed il giro in barca attorno all’isola testimonia che le sfaccettature di un luogo, di una persona, di una parola, sono molte e multiformi e splendide e non bisogna avere paura di incontrarle tutte perché ognuna è un panorama prezioso.
E come non scoprire tutta questa meraviglia se non nel silenzio.
A volte non si è a proprio agio quando si resta soli, distanti dal frastuono a cui ci hanno abituati traffico, telefoni e schermi. Qualsiasi pretesto pur di non dover affrontare il rimbombo del cuore e le sue ferite. Eppure se vi è capitato di percorrere da soli anche solo un pezzo del sentiero che dal porto porta al paese, sedervi in cima ad una scogliera, scendere piano a toccare l’onda del mare, trovarvi a fissare un punto all’orizzonte o attraversare le viuzze tra le case, avrete senz’altro sentito soffiare sui vostri pensieri il silenzio. Non una cosa pesante, non un giudizio o un ostacolo, ma una carezza, un caldo raggio, un abbraccio tra terra e cielo, un mosaico di colori spruzzati in volto.
È bello sentire quanto si è pieni ed appagati quando tutto il creato è in pace nel nostro animo, quanto si possa colmare l’affanno di volere l’impossibile con ciò che si ha davanti agli occhi e quanto l’infinito sia ciò che abbiamo ogni volta che apriamo il cuore al mondo. Si può essere spinti verso una fede, una passione, un programma o travolti da un rifiuto del reale, un disorientamento nel dolore, ma sempre ci vuole una partenza e questo potrebbe essere il luogo giusto per trovarla.
Un’ultima cosa: la soddisfazione. Affrontare ciò che già si è capaci di fare alle volte non lascia traccia ma sfidare tutti quegli impervi sentieri, arrivare alla Torre di San Zenobio o alla Torre della Regina, raggiungere la Cala Rossa o Lo Stagnone, trapuntato da tenerissimi ranuncoli, provare a noi stessi di essere in grado di superare quel sasso che ci sembrava impossibile, ci stanca sì ma ci ridona vitalità e ci riempie di quella soddisfazione sana di cui si alimenta il coraggio.
Ammiro davvero tutti voi e quanto il vostro CAMMINARE OLTRE …mi insegna molto.
Ebbene ogni volta che ci sarà permesso di fare una scelta dipenderà da noi se prediligere posti attrezzatissimi e lussuosi in cui stordirci o piuttosto angoli di quiete da condividere (grazie alle mie “concubine”), che richiedono solo di interagire con il nostro cuore per donarci tutta la propria ricchezza ed attivare il nostro bisogno di scoperta ed apprendimento.
Sara